Libro: Il cibo dei Padri. Tradizioni alimentari dell’Umbria

Emanuele Persiani

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Giardini Mario Magrelli

all’interno del Padiglione dello zafferano

Sabato 29 ottobre 15.00

Presentazione del libro Il cibo dei Padri. Tradizioni alimentari dell’Umbria
Rurale, di Mario Polia.
Saluti del Sindaco di Cascia Mario De Carolis

Presentano: Angelo Aramini, responsabile del Servizio Turistico Associato e Marchello Cingolani, Editore della casa editrice Il Formichiere.

Sarà inoltre presente l’autore

Comunicato:

Il cibo dei padri in Valnerina

Tradizioni alimentari nell’Umbria Rurale il libro di Mario Polia

Il libro “Il cibo dei padri in Valnerina” chiude un periodo di ricerca etnografica condotta dall’autore nel mondo rurale dell’Alta Valnerina, iniziata quindici anni addietro. Le principali tappe di questa ricerca sono: la trilogia “Tra cielo e terra”, “Le piante e il sacro” e il volume dell’antropologa Fabiola Chávez, del gruppo di ricerca diretto dall’autore, dedicato al mondo rurale femminile.

Quest’ultimo libro affronta un argomento di solito poco trattato negli studi demo-antropologici: la valenza culturale del cibo. In quest’ambito, l’antropologo non può limitarsi a stilare liste, per quanto accurate, riguardanti le varie specie di alimenti, i metodi di produzione e i differenti modi usati nella loro preparazione culinaria. Non può limitarsi a pubblicare un ricettario: deve affrontare, come si suol dire, il toro prendendolo per le corna: deve chiedere a sé stesso e spiegare ai suoi lettori quali sono le valenze immateriali degli alimenti: il loro intrinseco valore simbolico legato alla specie vegetale o animale e alle qualità specifiche degli alimenti: la provenienza, la forma, il colore, il sapore, le relazioni col ciclo stagionale e con le varie fasi del ciclo liturgico.

Quando si tratta di “tradizioni popolari”, si usa un termine tecnico ‒ “tradizione” ‒ che si applica a una cultura che concede alla religione un ruolo fondante: il compito di spiegare il mondo e l’umana esistenza, la funzione di dettare le leggi primarie di comportamento. Da questa prospettiva, dell’Homo Sapiens, occorre tener presente la propensione ad estendere il campo della conoscenza alla sfera immateriale, considerata non meno importante della realtà sperimentabili attraverso i sensi in quanto origine e norma d’ogni esistenza. Dalla medesima prospettiva, una funzione di primaria importanza quale la produzione, la trasformazione e il consumo di cibo, non poteva non essere dotata, fin dalle ere più remote come ricorda l’autore, di un intrinseco valore sacrale. Ma se la ricerca e il consumo del cibo accomuna il genere umano al regno animale, la preparazione dei cibi (la conservazione, la trasformazione mediante il fuoco) costituisce una prerogativa umana assieme a un’altra prerogativa ancora più “umana”: la tendenza alla distribuzione gratuita del cibo. Una tendenza che, specie nelle società povere, si manifesta nell’offerta, nella condivisione, nell’agape festiva. Il libro esamina con particolare attenzione gli aspetti rituali della condivisione del cibo negli eventi legati al ciclo liturgico e, in particolar modo, alle feste dei santi.

Nel mondo rurale, inoltre, i cibi conservano un loro intrinseco valore “storico”: un’eredità valoriale procedenti da epoche remote. Si pensi, ad esempio, al messaggio simbolico espresso dalle uova nella colazione pasquale e nei giochi quaresimali; al significato rituale delle “pizze di Pasqua” nella loro versione salata eredita dagli antichi liba ianualia; al valore simbolico degli ingredienti usati nella preparazione dei dolci natalizi: il miele, le noci, le nocciole, i fichi, l’uva, l’alloro. Si tenga presente, inoltre, l’aspetto contraddittorio di alcune ricette tradizionali palesemente dissonanti con l’evento liturgico cui sono dedicate. Un esempio eloquente, scrive l’autore, è offerto dalla “attorta” natalizia: perché preparare un dolce in forma di serpente per festeggiare la nascita di Colui che redime il genere umano dal veleno inoculato nell’uomo dal serpente, nato da una Madre che, nelle immagini sacre cui è avvezzo il contado, calpesta il serpente? La ricerca storico-religiosa mette in evidenza un aspetto del simbolismo ofidico collegato con la sfera della produzione vegetale (il serpente accompagna Cerere, madre delle messi) e collegato intimamente con la salute (il serpente accompagna il dio della medicina Asklepios / Esculapio). Il nostro dolce natalizio, dunque, eredita inconsciamente una valenza simbolica propiziatoria proveniente dal passato. Lo stesso vale per le specie vegetali raccolte nella notte dell’Ascensione e nella notte solstiziale di San Giovanni, impiegate per la preparazione di ricette tipiche come “la fojata” cerretana, o nella preparazione dell’“acqua odorosa” o “acqua de sangiovanni” assieme a piante “scacciadiavoli” quali la ruta e l’iperico e la tradizionale foglia di un albero un tempo sacro a Giove: il noce. Lo stesso vale per il pioppo argenteo del calendimaggio, sacro ad Hades e ad Ercole; per l’alloro sacro ad Apollo; per l’artemisia sacra ad Artemide; per le rose un tempo sacre a Venere-Afrodite; per le fave sacre ai trapassati fin dall’antico Egitto, poi nelle scuole pitagoriche, usate come offerta nei Saturnali romani, offerte dai nostri contadini ai poveri durante l’ottavario dei defunti.

Questo libro di Mario Polia conclude la prima fase della ricerca “sul campo” e offre al lettore la possibilità di risalire alle origini dei costumi alimentari del mondo rurale. Allo stesso tempo, sottolinea un fatto divenuto ormai inconsueto: il sapore del cibo non dipende solo dagli ingredienti. C’è (o c’era) un “sapore culturale” proveniente dal valore simbolico degli alimenti, dagli aspetti rituali concernenti la produzione, la preparazione e la condivisione del cibo considerato “grazia di Dio”. L’esclusivo sapore dell’agape che accomuna gli uomini e rende Dio partecipe dell’umana condivisione.